Unire l’utile all’attivismo ambientale si può, e Patagonia lo sta dimostrando.
Con le vette del famoso monte Fitz Roy, quello che si staglia sulla Tierra del Fuego, stilizzate nel logo, Patagonia è da 50 anni leader mondiale dell’abbigliamento sportivo e da esterni. L’azienda fondata a Ventura, rinomata meta marinara californiana, sin dai primi passi è stata promotrice di politiche attente all’ambiente e, senza temere di perdere clientela, in prima linea nell’attivismo sociale.
Certo, a volte è finita anch’essa nel report delle organizzazioni non governative che vigilano sulle buone pratiche di produzione, ma Patagonia non ha impiegato molto a riconoscere gli errori e ad aggiustare il tiro chiudendo qualsiasi sospetta collaborazione con i produttori della filiera, della lana e delle piume, poco onesti e non rispettosi degli animali.
Il marchio deve molta della sua fortuna alla figura leggendaria del suo fondatore: Yvon Chouinard, tra i più importanti arrampicatori e alpinisti del mondo, poi divenuto imprenditore. Nativo di Lewinstone (Maine), Chouinard si è ritagliato un posto nella “Hall of Fame” dell’alpinismo essendo tra i protagonisti dell’epoca d’oro della scalata nel parco di Yosemite durante gli alternativi anni Sessanta. Inoltre, Chouinard ha mostrato sin da subito la propria creatività inventando e utilizzando attrezzature tecniche non distruttive, facendosi promotore del movimento del clean climbing: cioè la tecnica dell’arrampicata pulita con cui gli scalatori si muovono usando attrezzature che non danneggiano la roccia. Infatti, tra il 1971 e il 1972, fu proprio Chouinard, insieme al collega di scalate e socio in business Tom Frost, a introdurre nuovi dadi in alluminio rispettosi della montagna. Negli anni Settanta, poi, egli ha anche contribuito a sviluppare la moderna arrampicata su ghiaccio.
È proprio in quest’ultimo periodo che, durante un viaggio in Scozia, Chouinard acquistò alcune magliette da rugby per essere usate nelle scalate: la comodità delle t-shirt venne apprezzata dagli sportivi e così egli ebbe l’idea di rivenderle sul mercato. Il grande e inaspettato successo ottenuto da questo piccolo business ha dato poi vita all’azienda Patagonia, che nel tempo ha sviluppato una vasta gamma di abbigliamento tecnico-sportivo di particolare resistenza e qualità, usando tra gli altri materiali anche l’oggi famosissimo “pile”, ovvero una fibra sintetica ricavata dal poliestere, inventata dalla ditta americana Malden Mills e depositata con il nome di Polartec proprio assieme alla consociata Patagonia nel 1979.
Oggi Patagonia si considera “in business col pianeta Terra”. Infatti, dall’inizio del nuovo millennio, recependo gli avvertimenti di scienziati, esperti ed attivisti, la società ha cominciato a prendere parte attiva alla salvaguardia dell’ecosistema e anche a battersi per i diritti umani e civili. Patagonia, infatti, agisce in prima linea nelle più importanti azioni contro la distruzione dell’ambiente: per esempio, l’azienda californiana supporta la lotta contro le trivellazioni che, per la ricerca del petrolio, deturpano l’ambiente e creano eterni danni al terreno; si sta battendo contro la possibile riduzione delle aree protette e dei parchi nazionali negli Usa; ha attuato innovative politiche – sempre rispetto al sistema nordamericano – in merito al congedo parentale di maternità; ha supportato la pulizia dei rifiuti dalle coste del Cile, si batte contro l’uso eccessivo di plastica, ha finanziati iniziative volte a contrastare l’inquinamento dell’aria urbana di Los Angeles, sostiene fattorie e aziende agricole rigenerative e che guardano all’economia circolare in California e Messico e tanto altro. Non solo, oggi Patagonia destina l’1% dei ricavi delle sue vendite totali a gruppi ambientalisti attraverso One Percent for the Planet, l’organizzazione che incoraggia le aziende a cedere l’1% dei profitti annuali per la conservazione e la sostenibilità ambientale.
Grazie a queste e a tante altre iniziative in favore del pianeta, nel 2011 Patagonia ha ottenuto il titolo di “Certified B Corporation”, che l’ha promossa a società a scopo di lucro che soddisfa “standard di prestazioni sociali e ambientali, di responsabilità e trasparenza”. Pochi anni dopo, Patagonia ha aderito a Fair Trade Usa e oggi produce abbigliamento per il commercio equo e solidale. L’azienda paga un premio extra, che va agli operai degli stabilimenti della filiera produttiva in 10 paesi sparsi in tutto il mondo, per ogni capo che riporta l’etichetta cucita “Fair Trade Certified”. In ogni fabbrica, poi, un comitato democraticamente eletto di lavoratori decide come utilizzare i fondi: finanziare progetti comunitari (programmi sanitari o un centri per l’infanzia), acquistare prodotti che altrimenti non potrebbero permettersi (computer portatili oppure stufe) e così via, oppure per prendere un bonus in denaro. Il programma Fair Trade di Patagonia promuove anche la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché il rispetto sociale e ambientale. L’obiettivo dichiarato è di trovare una soluzione permanente per garantire a tutti i lavoratori della filiera un salario minimo di sussistenza. Infine, dal 2017 la società ha annunciato che la merce in buone condizioni può essere restituita in cambio di “crediti merce”: in tal modo, l’usato viene ripulito, riparato e rivenduto online sul sito “Worn Wear”, aprendo così un altro filone di business attento e consapevole.
Scopri di più qui