“Creare comunità locali in grado di operare per quanto possibile in autonomia promuovendo un modello di consumo più circolare e di prossimità, nonché processi decisionali inclusivi e partecipativi”.
Pur se a molti lettori non dirà nulla di nuovo questo breve sunto – definizioni ormai accettate, anzi addirittura datate – a tanti altri sicuramente stuzzicherà la curiosità. Si tratta dell’idea basilare del movimento ecologico ed ecosostenibile delle “Transition Towns”, ovvero “Città in Transizione”, promosso dallo studioso Rob Hopkins, il quale razionalizzava un modello di città più vivibile e rispettosa dell’ambiente già una quindicina di anni fa a Totnes, nel Devon, all’estremo sud-ovest dell’Inghilterra.
Se all’inizio erano state definite come un’utopia, oggi le idee e le pratiche pensate da Hopkins si dimostrano fondamentali per la sostenibilità ambientale delle nostre città, alla base di un approccio flessibile in grado di far fronte ai continui mutamenti climatici. In effetti, le regole del movimento “Transition Towns” sono all’origine della transizione ecologica, dell’economia circolare e, dunque, della vivibilità: autosufficienza energetica, mobilità verde e condivisa, filiera alimentare corta, riduzione di inefficienze e sprechi nei servizi pubblici e così via.
Per poter dare una svolta alla transizione le amministrazioni cittadine non devono far altro che rimboccarsi le maniche, studiare e reperire i fondi per attuare gli accorgimenti necessari alla nascita di quartieri, rioni o anche interi municipi basati sulle pratiche di economia circolare, ecosostenibilità e autonomia. Oltre ai benefici sopra elencati per l’economia e l’ambiente, il risultato maggiore sarà di aver creato davvero una comunità di cittadini resilienti, consapevoli e solidali.
Sul territorio nazionale esistono già alcune realtà che hanno messo in pratica le idee del movimento (in particolare nel Nord Italia), ed è attivo da tempo il sito internet “Transition Italia” per facilitare e supportare la diffusione del processo collettivo di transizione sul territorio. Un esempio? È possibile costruire una città migliore partendo dal piantare alberi, potenziare il trasporto pubblico, aumentare l’uso delle fonti energetiche rinnovabili, costruire orti urbani per promuovere una filiera agroalimentare sempre più corta, realizzare edifici che non consumano fonti energetiche esterne, fino al coinvolgimento di imprese e altri soggetti economici privati e pubblici.
A proposito, le cronache delle ultime settimane mostrano come le città, soprattutto quelle di medie e grandi dimensioni, siano in prima linea nella sfida contro il riscaldamento globale: il caldo estremo può essere mitigato, ma per una vera vivibilità delle città c’è ancora molto da lavorare. Invece di installare condizionatori su condizionatori, il rimedio all’afa è il verde urbano, oltre alla gestione in modo efficiente delle risorse idriche. Le ondate di caldo, che sono amplificate a causa delle cosiddette “isole di calore urbano”, figlie di un eccesso di cemento e asfalto, possono essere combattute con la messa a dimora di piante e alberi, il che ridurrebbe sensibilmente la temperatura del suolo. Infatti, un parco può abbassare il livello di calore da 1 a 3 gradi rispetto a zone dove non ci sono piante o ombreggiature verdi. Maggiore è la copertura verde, maggiori sono i benefici per la salute della popolazione. Dati dimostrano che le persone che vivono nelle grandi città presentano un rischio maggiore di mortalità in condizioni di elevata temperatura e umidità rispetto a coloro che risiedono in ambienti sub-urbani o rurali, e ogni italiano dispone in media di appena 31 metri quadrati di verde urbano. Ne viene che la situazione nei grandi centri abitati della penisola è davvero preoccupante.
Ultimamente, diversi report hanno rilevato la situazione della transizione ecologica in Italia. Il resoconto “Città in transizione: i capoluoghi italiani verso la sostenibilità ambientale”, che è stato pubblicato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) all’inizio dello scorso mese di luglio 2022, ha analizzato l’andamento degli ultimi cinque anni su vivibilità, circolarità e resilienza ai cambiamenti climatici di venti capoluoghi di provincia, più Bolzano, ponendo l’accento sull’evoluzione nel tempo dei principali temi ambientali su scala urbana. L’obiettivo è restituire un quadro che possa contribuire al cammino verso una transizione ecologica. Dal rapporto si evince come a importanti traguardi riferiti alla mobilità ciclabile e alla raccolta differenziata, facciano da contro altare gravi lacune, in particolare per quanto riguarda dispersione e consumo idrico: sono infatti molto alti i valori di consumo di acqua pro capite. Al primo posto c’è Milano, che nel 2018 ha utilizzato 365 litri di acqua per abitante al giorno. Pessimi poi sono i dati riguardanti le perdite idriche: se nel 2018 erano elevate in gran parte delle città e superavano la soglia del 50 per cento nei casi più gravi, oggi la situazione migliora solo per 8 città, tra le quali al primo posto si trova Napoli, che è passata dal 41,2 per cento del 2012 al 31,6 per cento nel 2018.
Un altro punto dolente sono le bassissime percentuali della densità di verde pubblico: gran parte delle città sono sotto la soglia del 5 per cento, fatta eccezione per Trento (30%), Torino (15,3%) e Milano (13,8%). Non si sono registrati cambiamenti rispetto alla presenza di aree naturali protette nelle municipalità analizzate, che restano assenti in alcune realtà come Milano e Catanzaro, mentre occupano più della metà della superficie cittadina a Venezia, Cagliari e L’Aquila. D’altra parte, la diffusione degli orti urbani è cresciuta in maniera vertiginosa: per esempio a Napoli si è registrato un incremento davvero considerevole negli ultimi anni. Tra le lacune che rallentano il raggiungimento dell’obiettivo di città circolari vi è anche il consumo di suolo, che è in crescita in tutti i capoluoghi, mentre al contrario non vi è stata implementazione di infrastrutture “verdi”. Inoltre, risulta come la popolazione cittadina sia esposta a un forte rischio idrogeologico, che aumenta in condizioni di cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi ed improvvisi che vanno a insistere su un territorio già di per sé fragile: una fragilità ben dimostrata dai sinkhole (sprofondamenti, voragini), in aumento in tutti i capoluoghi, specie a Roma, che segna un triste primato europeo con ben 1088 voragini tra il 2010 e i primi sei mesi del 2021.